Mantieni il respiro calmo
Respiri che ti tranquillizzino, che calmino la tua mente
e non chiamarla a riflessioni inopportune,
a pensieri ricorrenti.
Piuttosto respira per azzittirti.
Che tutto in te si azzittisca.
Fa si che i respiri tacciano quei circuiti
che si sono trasformati in rumori interni,
sotto forma di angoscia, dubbio, insentatezza,
e che, a poco a poco, hai individuato
nello stesso modo in cui ti fanno respirare
con qualche soprassalto, maggiore consumo del tuo prana.
E sai che devi bilanciarti
prendere ciò che è necessario, così come rilasciare, senza logorarti,
senza eccessi, ponderatamente, fino a che tutto sia placato.
E ti ritrovi lì, in te,
senza limite di spazio, senza tempo possibile.
Respira. Respira.
Hai mai creduto all’inferno?
Pensa.
E potresti affrettarti dicendo di no.
Ci hai creduto, non è vero?
E quel modo in cui ci hai creduto, ha obbedito a ciò che hai vissuto.
Attraverso quanti inferni sarai passato?
Senza chiamarli così, senza riconoscerli così,
sotto quello stigma imposto, perfino impiantato.
E naturalmente non si parla di un luogo
né di uno spazio specifico.
E perché lo chiamiamo così, inferno?
Sapendo che ardeva, bruciava, carbonizzava, ceneri.
Saprai già che l’inferno è il proprio ed esiste.
E tanto meglio se,
smonti il vocabolo da dove è stato inculcato.
Ma è un ardore, un malsano ardore.
Che appare, accade, quando si agisce male.
E dirai, che male è quello?
E fondamentalmente è quando non conosci te stesso
quando non hai il coraggio di sapere chi sei
Ed entri come in un limbo di sensazioni,
che ti portano ad agire in modo improprio,
vale a dire, al di fuori della Legge dell’Amore.
E cadi nel tuo stesso inferno
angoscia, incomprensione, disperazione, senso di vertigine.
E l’uomo seppe chiamarlo così,
spaventosamente: inferno.
Creato, prodotto, dalla sua stessa paura.
Respira.
Già sai che si crede in ciò che si conosce
e c’è una parte di te che lo riconosce
e in maniera ricorrente va là, verso i propri inferni,
contemplati egualmente all’interno dell’inferno più grande,
in cui tutti abitiamo e, ci abita.
E che esistono momenti in cui nessuna evasione,
permette di essere al di fuori di essi, al di fuori di questo.
Non dovresti fare appello a nessun luogo comune,
interpretato, reso popolare, da noi stessi,
per attaccare questo progetto di convivenza che è l’umanità.
L’umanità stessa è un’inferno.
Presta attenzione al tuo respiro.
Osserva che, nonostante l’argomento,
non c’è alterazione in te, nè paura.
È come se tu fossi in un passaggio conosciuto
e, senza opporre resistenza, elabori a partire da ciò che conteni,
ciò che è, ciò che sarebbe per te, ricreare quello.
La domanda è,
Quanto tempo ancora pensi di poter vivere lì, così?
Quanto ardore ti produce?
Quanto hai potuto trasmutare per arrivare a sentire
che non vuoi essere lì, in nessun inferno?
E che non ti spaventano i fuochi interiori,
le fiammate, né le stesse ceneri delle tue stesse sostanze.
Osserva il tuo respiro.
E ne hai bisogno di cosi poco.
Sai perché?
Perché attraversandoli, hai trasceso i tuoi inferni.
Se ci hai creduto così tanto, non esistono più.
E sono rimaste solo le tue più depurate ceneri,
da cui rinasci una e un’altra volta ancora,
per il tuo bisogno di vita.
E quell’Uomo che non fu mai cenere
e che, partendo da Lui, si creò un inferno.
Devi parlare con te stesso, devi rompere il tuo silenzio.
Devi parlargli, e dirgli con tutto il tuo amore:
Sono la tua cenere,
chiunque tu sia stato,
ovunque tu sia, che tu esista o meno,
che tu abiti o meno, quella coscienza,
quella che tante volte ho abitato, credendo.
Non credo più nell’inferno che è stato.
Ho scelto, sono guarito, ho trasceso.
Lodo la tua coscienza, ma aspiro a qualcosa di più.
Alla coscienza dove gli inferni non esistono più.
E starò bene, starò nel bene.
Risponderò al bene, che non è altro che amarmi.
Lode eterna agli uomini per bene.
Ai figli del Sè.
Credo già quello che sono.
Osserva il tuo respiro e ringrazia te stesso.
Ringraziati ancora di più.
Hai imparato a credere.
Credici.
Om Namaha Shivaya